- La missione secondo lo stile di prossimità
La testimonianza del Regno di Dio, annunciato e vissuto in prima persona da Gesù Cristo, è il servizio essenziale della Chiesa (cf. Lumen Gentium, nn. 3 e 5). Nella fase di ascolto, questa coscienza è apparsa radicata e diffusa, insieme al rammarico per le occasioni in cui la Chiesa non riesce a rendere trasparente il nucleo di tale testimonianza: «Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti» (Francesco, Evangelii Gaudium, n. 164). Le molte esperienze di incontro e relazione, attivate sia con i gruppi sinodali sia con i Cantieri di Betania, hanno fatto emergere il profondo bisogno di speranza che abita chiunque abbia preso parte in qualche modo al Cammino sinodale. Desideri di gioia, di felicità, di consolazione, di salvezza che aprono all’ascolto e alla condivisione, secondo lo stile con cui Gesù si affiancò ai due viaggiatori di Emmaus. Molte narrazioni hanno sottolineato la bellezza e il bisogno di lasciarsi incontrare insieme da Cristo, in particolare dopo i periodi di isolamento dovuti alla pandemia. Ma si è anche notato con amarezza come non siano pochi coloro che, per vari motivi – e non sempre per scelta –, si sentono ai margini di questa esperienza di comunione che è la Chiesa. Le consultazioni hanno rilevato che il mondo, creato e amato da Dio, è amato anche dal suo popolo, che, per questo, intende partecipare attivamente alla vita sociale e politica, sentirsi umano in mezzo all’umanità, senza la pretesa di rivendicare spazi di privilegio ed egemonie culturali, ma ponendosi come sale, luce, lievito, seme, grano di senapa… Queste immagini, utilizzate da Gesù per parlare dei discepoli e della crescita del Regno di Dio (cf. Mt 5,13-16 e 13,1-52), tracciano il programma della missione nel mondo per le Chiese in Italia. La “fine della cristianità” crea un’occasione per il rinnovamento dell’annuncio e del suo stile. I vasti campi della missione sono terreni apparentemente duri, ma in realtà fertili se coltivati nello stile della “prossimità” e non della conquista. La rilevazione di una “esculturazione” del cristianesimo attuata anche in Italia non deve portare alla riattivazione di tentazioni culturalmente colonialiste, ma all’elaborazione di nuove forme di “inculturazione”, secondo lo stile della prossimità.
ØAscolto, incontro, misericordia
La prossimità è un’esperienza personale, un “camminare accanto” che si concretizza nella relazione autentica. Ma non può ridursi allo sforzo dei singoli: le comunità possono diventare spazi di prossimità, dove ciascuno sperimenta accoglienza, ascolto, compagnia. È fondamentale che le comunità sappiano stare accanto alle persone che vivono un tempo di “soglia” nella vita. Occorre comprendere come rinnovare strutture, tempi e modi della pastorale affinché siano luoghi e spazi di ospitalità, aperti anzitutto a favorire l’incontro con tutti. Si auspica una Chiesa in cui chiunque possa scoprire il desiderio di Cristo di mangiare la Pasqua con i suoi discepoli. Gli atteggiamenti di giudizio amareggiano molti credenti e allontanano quelli che si convincono di non esserlo o sono alla ricerca dei motivi per esserlo. Si avverte l’esigenza di aprire strade da percorrere perché tutti abbiano posto nella Chiesa, a prescindere dalla loro condizione socio-economica, dalla loro origine, dallo status legale, dall’orientamento sessuale. In particolare, su quest’ultimo aspetto, le giovani generazioni, anche all’interno della Chiesa, sono molto sensibili agli atteggiamenti che sanno comprendere rispetto a quelli che respingono. Tali riflessioni chiedono, da un lato, di condividere le “buone pratiche” già attive nei territori ed emerse con i Cantieri di Betania e, dall’altro, di avviare processi di approfondimento sul piano antropologico e teologico, per integrare meglio le istanze del rispetto totale per le persone e della loro crescita nella verità.
ØImpegno dei laici; ambienti di vita; partecipazione e bene comune
Nelle narrazioni del biennio di ascolto è emersa la necessità di un impegno attivo in alcuni ambiti cruciali: la costruzione della pace, la cura dell’ambiente, il dialogo tra le culture e le religioni, l’inclusione dei poveri, degli anziani, delle persone ammalate o con disabilità. Sotto questo punto di vista, viene ritenuto necessario il contributo delle persone laiche: impegnate in prima persona nella vita professionale, civile e sociale, la loro testimonianza matura concretizza nel mondo lo stile della prossimità.
ØIl contributo alla costruzione di una cultura dell’incontro
La questione del dialogo e del confronto con le altre realtà sociali e culturali del nostro tempo è stata particolarmente evidenziata dal popolo di Dio. Si sente il desiderio di atteggiamenti ecclesiali che sappiano ascoltare con rispetto la realtà dell’altro, il cui valore è ben più grande dell’idea professata. Questa convinzione è apparsa in ogni dibattito, con il desiderio di sottrarsi alle polarizzazioni che spesso compromettono un vero stile ecclesiale. La Chiesa è chiamata, infatti, a dare testimonianza di un’altra modalità possibile di confronto. Un tempo funzionava il modello delle scuole sociopolitiche, che hanno accompagnato generazioni di laiche e laici impegnati: occorre riflettere su quali vie sperimentare per offrire laboratori di formazione di pensieri e azioni ispirati ai valori cristiani. La dottrina sociale della Chiesa richiede di essere affiancata dalla prassi sociale dei cristiani, che da sempre sono in prima fila nella costruzione di un mondo più conforme alle esigenze del regno di Dio.
L’esistenza è intessuta di incontri con gli altri e la comunità si forma mediante la partecipazione di ciascun individuo: quali vie percorrere per la costruzione di una Chiesa davvero inclusiva, propositiva, responsabile, testimone di verità?
- Il linguaggio e la comunicazione
Le conversazioni sinodali hanno insistito sulle molte forme di espressione che caratterizzano il linguaggio cristiano, nella sua storia e nella sua tradizione, e che possono essere ulteriormente rivitalizzate per testimoniare il significato del cattolicesimo per le donne e per gli uomini di oggi. Si tratta anzitutto di un linguaggio che incroci i vissuti e le ricerche di senso delle persone, veicolato non solo attraverso la parola parlata, ma anche con le immagini, l’arte, i racconti, la messa in comune di esperienze, i gesti di attenzione e di cura per il creato. Ci sono poi le varie modalità di espressione offerte dagli sviluppi tecnologici, a cui tutti ormai siamo abituati, ma che rappresentano il modo principale in cui comunicano le generazioni più giovani. Senza dimenticare le forme della vita religiosa che trovano la più pregnante realizzazione comunitaria nelle espressioni del rito e della liturgia. Queste tipologie di linguaggio e di comunicazione, se alimentate dall’esperienza di fede, sono in grado di intercettare la sete di verità, bellezza e giustizia dell’umanità. Il punto non è quindi trovare linguaggi più efficaci, ma entrare in nuovi paradigmi. La comunicazione, infatti, per essere credibile, ha bisogno di attingere alla vita coerentemente vissuta di chi si esprime attraverso di essa. Occorre tornare a frequentare il cortile del comune contesto culturale, non più esclusivamente dominato da una visione religiosa della vita, ma pur sempre luogo delle grandi questioni dell’uomo che attendono risposta. La Chiesa, per quanto custode del tesoro della Rivelazione, è parte di questa umanità che ricerca continuamente Cristo, che è via, verità e vita.
ØLa sfida della fraternità culturale
Impegnarsi per una fraternità culturale non deve portare con sé intenti apologetici, ma intenzioni di ascolto e di condivisione. Sono le domande dell’uomo di oggi che possono suscitare nuove luci dalla rivelazione evangelica. In questo senso, l’annuncio non sarà lo sforzo di veicolare in modo più accattivante formule consolidate, ma di trovare insieme una rinnovata sintesi cristiana scaturita dal confronto con la reale condizione umana odierna, con i suoi saperi, le sue conoscenze del mondo. Si sente il bisogno di un nuovo discorso cristiano che si lasci sollecitare, in una vera fraternità culturale, dal contesto contemporaneo. In questo compito devono essere convocate le competenze della teologia, dell’elaborazione culturale cristiana, nonché dei molti strumenti di comunicazione della Chiesa, su cui si chiedono riflessioni attente.
ØCome camminare al fianco dei giovani?
Il tema del linguaggio, inteso in senso ampio, chiama in causa con particolare preoccupazione il clamoroso distacco delle giovani generazioni dal “sentiment” religioso e della vita della Chiesa. Molte sono le cause di questa separazione, che vanno analizzate in modo serio e accurato. E certamente non basta, per entrare in sintonia, insistere su una dottrina, magari resa pop da nuovi stratagemmi mediali. Le giovani generazioni, invece, hanno bisogno di scoprire nell’incontro con Gesù nella Chiesa una causa in cui vale la pena coinvolgersi. Questo tratto – come si fa notare con convinzione – non può essere solo un argomento retorico per riconquistare i giovani, ma la reale conversione di una comunità che vuole ritrovare sé stessa. A questo riguardo diventa necessario chiedersi quali siano le pratiche possibili per coinvolgere le nuove generazioni e per costruire con loro spazi di riflessione sui temi esistenziali e teologici. E diventa altrettanto importante riflettere sui modi in cui i linguaggi parlati dai giovani, con le loro forme spesso mediate tecnologicamente, possono esprimere certe fragilità, un reale desiderio di comunità, un autentico bisogno di orientamento.
ØUna liturgia che incontra la vita
Essendo fonte e culmine della vita della Chiesa, la liturgia, e in modo particolare la celebrazione dell’Eucaristia, viene indicata da tutti, in modo insistente e accorato, come un banco di prova per vivere e trasmettere il significato della vita cristiana nell’attuale cambiamento di epoca. La fase narrativa del Cammino sinodale ha segnalato alcune fatiche delle celebrazioni delle nostre comunità. S’insiste sull’uso di linguaggi lontani dalla sensibilità odierna, su una qualità celebrativa deludente e incapace di favorire la partecipazione e di tradursi in gesti di vita, sulla difficoltà di fare del momento celebrativo un avvenimento davvero comunitario che unisca la gente e parli alle loro storie. Questo divario tra liturgia e vita emerge nitidamente nel momento omiletico. Si chiede di ripensare seriamente la liturgia, spesso senza riuscire a specificare in cosa. Questa domanda non del tutto codificata consegna comunque il bisogno di riscoprire la bellezza della liturgia, la necessità di affinare l’arte del celebrare e l’urgenza di un’autentica formazione liturgica di tutto il popolo di Dio. Per rendere nuovamente significativa per le persone la vita liturgica delle comunità e accogliere sfide e desideri della fase di ascolto, occorre impegnarsi in una seria e vitale formazione alla liturgia, ma anche dalla liturgia che trasfigura la vita del credente. Infatti, «una visione della liturgia solo in prospettiva concettuale e didattica va contro la sua natura di forma che dà forma, secondo la quale il credente, pervenuto alla fede, si lascia plasmare ed educare dall’azione liturgica, quale espressione del culto della Chiesa nella sua fontalità sacramentale, sorgente della vita cristiana» (Conferenza Episcopale Italiana, Incontriamo Gesù. Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia, n.17). In questa prospettiva l’azione formatrice della liturgia «riguarda la realtà del nostro essere docili all’azione dello Spirito che in essa opera, finché non sia formato Cristo in noi (cfr. Gal 4,19)» (Francesco, Desiderio desideravi, 42). In più contributi, è stato sottolineato il ruolo prezioso della pietà popolare, nella quale «si può cogliere la modalità in cui la fede ricevuta si è incarnata in una cultura e continua a trasmettersi» (Francesco, Evangelii gaudium, 123). Al contempo, però, si chiede che le sue pratiche e i suoi riti vengano continuamente illuminati dalla luce del Vangelo per evitare strumentalizzazioni o derive sentimentaliste. Anche la questione delle strutture della pietà popolare (santuari, associazioni, confraternite) deve entrare nel dibattito. In questo ambito, potrebbe risultare utile offrire delle linee orientative condivise a livello nazionale per favorire chiarezza nelle relazioni tra Diocesi, parrocchie e varie associazioni. Un intervento simile sarebbe di aiuto soprattutto in quelle realtà dove è più difficile operare il rinnovamento necessario.
Quali chiavi interpretative e comunicative deve trovare la Chiesa per non lasciare nessuno “orfano di Vangelo”?
- La formazione alla fede e alla vita
È fondamentale che le comunità ecclesiali accrescano la consapevolezza del loro compito educativo e siano sempre più attente alla formazione della persona e alla vita cristiana. Si avverte l’importanza di ripensare quest’ultima in modo maggiormente integrato e comunitario; di porre attenzione alla formazione del “credente” e a quella specifica dei ministri e di coloro che svolgono un servizio; di saper contrastare i rischi di prassi frammentate, occasionali, poco curate, distanti dai bisogni delle persone. Diverse forme ereditate dal passato, allora efficaci, mostrano oggi la loro inadeguatezza. Per essere all’altezza del tempo e delle sfide odierne, bisogna curare con attenzione la qualità delle azioni educative già ordinariamente messe in atto nelle comunità; fare i conti con la fatica di abbandonare il certo per l’incerto, con resistenze, stanchezze e timori di varia natura; saper abitare una sorta di cantiere ecclesiale permanente, nel quale il nuovo prende forma piuttosto lentamente e per via di tentativi che provano a percorrere vie nuove e inesplorate; valorizzare al meglio le risorse già presenti nelle comunità e saperne attivare altre. C’è bisogno di uno nuovo slancio, del coraggio di compiere scelte innovative.
ØAccanto a ogni età della vita
È decisivo curare la formazione alla vita cristiana in tutte le età della vita. Appare ormai inefficace il modello che agisce solo nella prospettiva dei sacramenti, poiché l’impegno cristiano può essere assunto solo nella continuità delle differenti tappe dell’esistenza e in relazione alle diverse situazioni personali, partendo sempre dalla centralità del mistero pasquale, annunciato dalle Scritture e celebrato nella Liturgia, e dalla rilevanza delle condizioni esistenziali. È necessario, cioè, superare il modello “scolastico” e l’infantilizzazione della formazione cristiana attivando proposte più attente ai contenuti essenziali e alla ricchezza dei linguaggi (simbolici, narrativi, rituali…), dove vengano prese in considerazione le molteplici dimensioni della persona e della vita cristiana; come anche, nella misura in cui si lascino coinvolgere, vengano accompagnate le famiglie. In questa prospettiva, si chiede di valutare la possibilità di linee comuni nazionali che possano essere riferimento per tutte le Diocesi mentre, riguardo ai percorsi di iniziazione, si domanda un approfondimento, anche canonico, sulla figura delle madrine e dei padrini. Occorre poi ridare centralità alla Parola di Dio e riflettere attentamente su come accrescere, sia nelle comunità cristiane sia nella società civile, la cultura teologica. Per rendere efficace l’azione educativa si ritengono importanti gli ambienti di vita: oratori, scuole, centri di formazione, università, associazioni, movimenti, ecc. Spesso è in questi contesti che si realizzano le condizioni per un incontro autentico con l’appartenenza credente e la formazione cristiana.
ØUna formazione sinodale
La fase narrativa consegna una richiesta pressante di ripensamento della formazione di coloro che esercitano un ministero e vivono una specifica vocazione, in particolare i presbiteri. Chi educa a nome della Chiesa deve essere aiutato a coltivare costantemente la propria umanità e la propria fede, perché sappia esercitare l’ascolto, l’accoglienza, la dedizione gratuita, la carità pastorale. È stata messa in luce l’esigenza di una formazione secondo una prospettiva maggiormente sinodale, più attenta a sviluppare competenze relazionali, a far crescere la persona nell’arte dell’accompagnamento. È fondamentale dunque approfondire sia il tema della formazione al discernimento, alla gestione delle conflittualità, alla leadership sia quello della formazione specifica dei presbiteri, dei religiosi, dei laici. È emersa inoltre l’istanza di ripensare la formazione iniziale dei sacerdoti, superando il modello della separazione dalla comunità e favorendo modalità di formazione comune tra laici, religiosi, presbiteri. ØUna sfida per tutti L’educazione tesa alla formazione delle persone non è questione che riguarda soltanto coloro che esercitano direttamente una responsabilità, ma interpella tutti e chiama in causa l’intera comunità ecclesiale. Occorre chiedersi quali aspetti chiedano di essere affrontati perché le diverse realtà educative della Chiesa, dedicate alla crescita delle nuove generazioni, possano sia svolgere al meglio il loro compito sia crescere nella capacità di agire insieme tra loro e con le realtà del territorio. Si evidenzia, inoltre, l’importanza di delineare pratiche per ampliare nelle comunità ecclesiali la capacità di essere parte attiva nella costruzione di patti educativi territoriali.
Come sintonizzare formazione ed educazione accompagnando la crescita permanente di tutti i membri della comunità, in ogni fase della vita e in qualsiasi ruolo si operi?
4. La sinodalità e la corresponsabilità
Una Chiesa che ascolta può nascere solo in una Chiesa che si ascolta. Un leitmotiv delle consultazioni è stato quello di rendere permanente lo stile sinodale, cercando forme reali che diano concretezza alla comune dignità battesimale e favoriscano una vera corresponsabilità ecclesiale.
ØRiconoscere la ministerialità comune
La fase narrativa ha messo in evidenza la domanda di riconoscimento della ministerialità comune dei battezzati; si chiede che prendano forma, secondo la creatività dello Spirito, le nuove ministerialità che la vita stessa della Chiesa sta suggerendo. Esse si legano alla missione della Chiesa, alle esigenze stesse dell’annuncio del Vangelo oggi. I ministeri, ad ogni livello (ordinati, istituiti, di fatto), non sono funzioni puramente “intraecclesiali”, ma servizi “missionari” aperti al mondo. Si propone così, quasi unanimemente, di immaginare dei ministeri di ascolto, di accoglienza, di servizio caritativo, necessari soprattutto nelle metropoli dove maggiori sono le fatiche e i vuoti esistenziali. Ogni battezzato ha carismi che sono un dono per la comunità: vanno riconosciuti e tradotti in ruoli, compiti, ministeri. L’istanza di approfondire la ministerialità nella Chiesa implica la necessità di aiutare le comunità a riflettere sulle diverse forme di ministero ecclesiale, sulla loro distinzione, sui criteri attraverso i quali chiedere il coinvolgimento delle persone.
ØIl riconoscimento del ruolo femminile
È urgente un riconoscimento reale del senso e del ruolo delle donne all’interno della Chiesa, già preponderante di fatto, ma spesso immerso in quella ufficiosità che non consente un vero apprezzamento della sua dignità ministeriale. Non si tratta di estendere prerogative, ma di ripensare in radice il contributo femminile in rapporto al senso stesso della ministerialità e al profilo dell’autorità nella Chiesa. La questione delle donne rappresenta un banco di prova fondamentale per la Chiesa chiamata a fare i conti con acquisizioni culturali che ancora la disallineano dalla comune vita sociale. In quest’ottica, diventa importante individuare forme operative che esprimano chiaramente la piena valorizzazione femminile nella corresponsabilità ecclesiale.
ØAl servizio della corresponsabilità
La corresponsabilità nella Chiesa ha trovato dal Concilio Vaticano II in poi degli strumenti per la sua realizzazione. È convinzione di tutti che siano stati un grande passo in avanti, ma che servano anche scelte ulteriori, perché gli strumenti già esistenti, a partire dagli organismi di partecipazione, possano funzionare come spazi di autentico discernimento ecclesiale: per questo occorre incentivare, nel loro funzionamento, la dinamica della sinodalità. Si chiede un ripensamento a livello canonico della distinzione – attualmente troppo marcata – tra piano consultivo e piano deliberativo, accanto a una revisione delle procedure giuridiche che influiscono sull’attuale difficoltà di riorganizzare l’operatività pastorale in senso più condiviso.
La Chiesa è una casa aperta e accogliente: come far sentire maggiormente coinvolti nella cura e nella gestione coloro che già la abitano, e in che modo renderla accogliente per coloro che sono o si sentono sulla soglia?
5. Il cambiamento delle strutture
«Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’auto-preservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie» (Francesco, Evangelii Gaudium, n. 27). Le Chiese in Italia hanno a che fare con vari tipi di strutture: quelle materiali e amministrative, al centro di processi di rinnovamento già avviati o non più rinviabili, ma anche pastorali, che a volte appaiono obsolete o legate a modelli sociali ed ecclesiali del passato. Il biennio di ascolto ha evidenziato che il rinnovamento delle strutture deve rispondere a criteri ecclesiali. Occorre, cioè, mettere al centro il servizio dell’annuncio e la missione della comunità, in modo che le strutture siano una risorsa e non un peso per favorire l’incontro del Vangelo con il mondo. È necessario operare un cambiamento di mentalità sotto vari punti di vista: la gestione delle strutture deve diventare sempre più azione comunitaria, nella logica sinodale; le responsabilità devono essere il più possibile condivise, mentre oggi una delle fatiche spesso evidenziate riguarda l’eccessivo peso burocratico che spesso ricade sulle spalle di poche persone e soprattutto dei Pastori; le competenze, anche tecnico-professionali, di laiche e laici devono essere valorizzate, così da attuare un loro coinvolgimento non puramente consultivo o funzionale.
ØStrutture materiali
Il patrimonio di strutture materiali a disposizione delle comunità è ingente e diversificato. Ci sono anzitutto le tante chiese, spesso beni artistici di grande valore culturale: la maggior parte sono utilizzate, mentre altre vengono progressivamente abbandonate. Ci sono canoniche, seminari, oratori, case di ordini religiosi: alcune volte questi edifici non corrispondono più alle necessità per cui erano stati pensati e costruiti in origine. Ci sono poi strutture ricreative o sportive, spazi teatrali, centri culturali; strutture assistenziali, fondamentali ad esempio per l’educazione dei piccoli, la cura di anziani o ammalati. A tutti i livelli, la loro gestione richiede risorse economiche non sempre disponibili, competenze specifiche e visione prospettica. Occorre inoltre riflettere su alcuni aspetti normativi per fornire indicazioni pratiche e valutare come procedere in casi specifici, ad esempio, per alienare o riconvertire determinati beni. Da più parti è richiesta un’opera di formazione, coordinata a livello nazionale, perché si riconosce una carenza di competenze locali. Emerge inoltre la necessità di attuare scelte urgenti per un’accurata ricognizione delle strutture; per la costituzione di équipe qualificate (con figure professionali) in un rapporto di scambio sistematico con gli organismi pastorali diocesani; per una valutazione ponderata e collegiale dell’utilizzo dei beni; per l’elaborazione di strategie di valorizzazione e/o rigenerazione con il possibile coinvolgimento di istituzioni pubbliche (Comuni, Regioni, Ministeri …) o private; per la messa a punto di progetti integrati che prevedano precisi dispositivi di gestione e concrete opportunità di servizio.
ØStrutture amministrative
La vita delle Chiese in Italia si articola secondo un gran numero di entità amministrative. In primo luogo, le parrocchie, che in varie zone vengono riunite in Unità pastorali: un processo che richiede attenzioni specifiche. La fase di ascolto ha fatto emergere il grande carico che grava sui parroci, oberati da responsabilità amministrative crescenti. Occorre per questo riflettere su come coinvolgere di più e meglio i laici nella gestione, con deleghe specifiche e procure efficaci. Per l’amministrazione di parrocchie prive di parroco residente, va approfondita la possibilità di affidarle a un diacono (diaconia pastorale) secondo il can. 517 §2 del Codice di diritto canonico. Così come va esaminata la figura dell’animatore di comunità (laici, consacrati, diaconi) o di zone pastorali (tema sviluppato in vari Cantieri dell’ospitalità e della casa), già presente in alcune Diocesi, anche nella modalità delle équipe o dei gruppi ministeriali. È necessaria una semplificazione delle certificazioni, ad esempio per i matrimoni, attualmente troppo complicata. Un altro ambito di riflessione riguarda il possibile accentramento di precise aree gestionali in capo alle Diocesi.
ØStrutture pastorali
La fase di ascolto ha evidenziato il bisogno di pensare una pastorale “in uscita”, secondo lo stile indicato in Evangelii Gaudium, che serva ad abitare i luoghi “di soglia” e a favorire il dialogo con le realtà della povertà, dell’emarginazione, della solitudine e dell’esclusione. Allo stesso tempo emerge con forza – anche attraverso l’esperienza della pandemia – la necessità di rimettere al centro l’ascolto e lo studio della Parola di Dio, così come di dedicare tempo alla preghiera personale e comunitaria. Queste esigenze portano a un ripensamento delle strutture pastorali in chiave sinodale, a cominciare dalla parrocchia, con il coinvolgimento di coloro che partecipano alla vita delle comunità cristiane. Viene sottolineato con insistenza il bisogno di passare da una “pastorale degli eventi” a una “pastorale della vita quotidiana”. Si suggerisce di aprire una riflessione anche sulle parrocchie, sulle Unità pastorali, sugli uffici di Curia, a tutti i livelli, per chiarire le singole competenze e migliorare le interazioni sinergiche.
Le strutture della Chiesa, nei loro diversi ambiti, hanno bisogno di solide competenze, professionalità formate e divisione responsabile dei compiti: quali percorsi possono essere individuati per una gestione virtuosa ed efficace di beni e persone unita a una pastorale di nuovo attenta alla vita quotidiana?